
Il keniano Emmanuel Kipchumba Kemboi è risultato positivo a un controllo antidoping effettuato alla Maratona di Lisbona lo scorso ottobre, dove si è classificato secondo con un tempo di 2h09m10s.
Il 17 dicembre 2024, il laboratorio accreditato dall’Agenzia mondiale antidoping (WADA) di Lisbona ha segnalato un riscontro analitico negativo del campione basato sulla presenza di triamcinolone acetonide.
Il 2 aprile, il 28enne ha ammesso la sua colpevolezza e ha visto la sua sospensione ridotta da quattro a due anni. La sospensione è iniziata il 7 aprile, con l’annullamento dei risultati a partire dal 6 ottobre 2024, con tutte le conseguenze che ne derivano, tra cui la perdita di titoli, premi, medaglie, punti, premi in denaro e quote di partecipazione.
Il triamcinolone acetonide è un corticosteroide sintetico utilizzato per trattare diverse condizioni infiammatorie.
Emmanuel Kemboi ha vinto la Maratona di Porto tenutasi nel 2023 in 2h14m13s e la Maratona di Riyadh tenutasi l’8 febbraio di quest’anno.
Il Kenya, una nazione spesso celebrata per i suoi straordinari successi nell’atletica leggera, si trova di fronte a una crescente crisi che rischia di macchiare il suo illustre passato sportivo. La squalifica di due atleti nell’arco di appena un mese ha acceso i riflettori su un problema sempre più evidente: l’uso di sostanze proibite da parte di corridori di alto livello, un fenomeno che solleva interrogativi inquietanti sulla cultura sportiva del Paese e sull’efficacia delle politiche antidoping.
Malgrado i ripetuti avvertimenti della WADA (Agenzia Mondiale Antidoping) e gli sforzi dell’Agenzia Antidoping del Kenya (ADAK), la situazione sembra peggiorare. Le autorità antidoping si trovano in una corsa contro il tempo per arginare una piaga che rischia di compromettere la reputazione del Kenya come fucina di talenti atletici. Le statistiche mostrano un quadro sempre più preoccupante, con un numero crescente di atleti positivi ai test per sostanze come EPO (eritropoietina) e testosterone sintetico.
Dietro queste violazioni, tuttavia, si nasconde una realtà complessa. Molti atleti citano pressioni insostenibili per mantenere standard competitivi sempre più elevati, mentre altri sono attratti dalle promesse di guadagni economici rapidi in un Paese dove lo sport è visto come una via d’uscita dalla povertà. Questa situazione crea un ambiente fertile per l’uso di sostanze vietate, spesso somministrate da medici o allenatori senza scrupoli che sfruttano l’ingenuità o la disperazione degli atleti.