Giuseppe Gibilisco, indimenticato ed istrionico fuoriclasse del salto con l’asta italiano, intervistato dalla Gazzetta dello Sport per mano di Giorgio Specchia, ci racconta di seguito le vicisittudini legate ai suoi grandi successi, con sfaccettature, fino ad oggi sconosciute ai più. Quello su cui, volente o nolente, ognuno di noi può finire, non per grandi azioni o demeriti, ma semplicemente per il solo fatto di vivere, pensare, esporre le proprie opinioni da uomo libero, amare. In altre parole, per essere umano, pensante, vivente nella sua totalità . Ecco che ci si può ritrovare all’interno di una gogna pericolosissima.
Dalla Gazzetta dello sport: Giuseppe Gibilisco, vent’anni fa lei conquistava il bronzo olimpico nel salto con l’asta ad Atene dopo l’oro mondiale del 2003 a Parigi. Rimpiange quei tempi?
«No, assolutamente».
Perché?
«Perché l’atletica mi ha dato la vita ma me la stava anche togliendo. Da ragazzino avevo preso una brutta strada e, senza lo sport, sarei sicuramente finito in galera. Mi sentivo invincibile, invulnerabile. Invece ero fragile e solo nella fatica dell’allenamento quotidiano ho trovato un senso alla mia vita. Sono cresciuto, mi sono posto degli obiettivi. Che poi ho raggiunto, ma lì è stata anche la fine. Ero solo contro tutti, accusato di doping. Anzi, presunto doping»
Come ne è uscito?
«Con un’archiviazione “perché il fatto non sussiste” in sede penale e con un’assoluzione piena del Tas in sede sportiva».
Chi la accusava?
«Il tribunale antidoping del Coni che è riuscito a rovinarmi la carriera proprio quando ero all’apice. Ora fortunatamente le cose sono cambiate, c’è più rispetto per gli atleti. E forse ha contribuito anche il mio caso, come quello di Pantani. Un gigante, una vittima. Spesso vado a piangerlo sulla sua tomba».
Però non ha chiuso con lo sport…
«No, sono andato avanti e mi sono preso la soddisfazione di arrivare a una nuova finale olimpica nel 2008 a Pechino, ma il Beppe migliore se ne era andato. Alla fine mi sento un miracolato, anzi un sopravvissuto».
In che senso?
«Nel senso che, a un certo punto, ho anche pensato di ammazzarmi e, da finanziere, ho preso in mano la pistola d’ordinanza. Mi ha salvato un amico giornalista, l’unico che mi è stato vicino in quei momenti. Non mi vergogno a dire che il mio conto in banca era arrivato a 43 euro. Per difendermi ho venduto anche la macchina che mi ero comprato dopo il bronzo olimpico».
Adesso che fa?
«Mi dedico alla mia città , Siracusa. Sono assessore allo Sport e al Tempo libero.
«Le aste le ho messe da parte anche se manca quella più importante».
Che fine ha fatto?
«Me l’hanno segata gli agenti in un aeroporto statunitense. Ero lì per fare una gara a Eugene, nell’Oregon, e alla dogana hanno pensato bene di controllare se, là dentro, ci fosse della droga. Era l’asta che mi aveva dato l’oro a Parigi. Forse è stato un segno del destino. Quell’oro, alla fine, mi ha rovinato».