CASSOLA – Il Mennea Day del Veneto si sposta a giovedì 19 settembre 2024, causa pessime previsioni meteo per la data del 12. L’appuntamento è per giovedì 19 settembre quindi, con inizio gare alle 18.15. L’evento celebra i 45 anni esatti dal record di Pietro
Mennea a Città del Messico, il 12 settembre del 1979, sui 200 metri, un 19”72 che rimase record mondiale per 17 anni ed è tuttora record europeo. Per ricordare quello straordinario successo tutti sono chiamati a fare i 200 metri secondo le loro possibilità, dai più piccoli ai più anziani. Un meeting che sarà dunque anche una festa dell’atletica, in ricordo di Pietro Mennea (1952-2013), il più grande atleta italiano, scomparso troppo presto già 11 anni fa.
Manuela Levorato ospite d’onore
La figura di riferimento sarà la vicepresidente regionale della Fidal Veneto, Manuela Levorato, regina della velocità italiana, il cui record sui 100 metri del 2003 è stato battuto solo quest’anno, 21 anni dopo, da Zainhab Dosso. Manuela ha sempre apprezzato il Mennea Day di Cassola e non vuole mancare anche quest’anno. Tra l’altro la sua presenza a Cassola sarà la prima ufficiale dopo le elezioni Fidal di Fiuggi, dove è stata la prima degli eletti, con circa 25mila voti, come consigliere nazionale, nella squadra del presidente Stefano Mei. Il Veneto insomma sarà rappresentato benissimo a Roma.
Caravani c’era: i ricordi con Pietro
Luciano Caravani non potrà essere a Cassola, il 19 settembre è in vacanza. Ma ci racconta i suoi ricordi con Pietro Mennea. Lui, classe ’53 (Mennea era del ’52), a quell’Universiade del 1979 a Città del Messico c’era. Giorni indimenticabili, giorni di gloria. Il forte ex velocista azzurro, lui stesso, da decenni nell’atletica, come allenatore della società Novatletica Schio, a Città del Messico 1979 visse dei momenti irripetibili: siglò infatti, nella semifinale dei 100 metri, l’8 settembre, il suo personal best di carriera, 10”23, classificandosi poi sesto nella finale con 10”41.
Quindi partecipò alla felicità di Pietro il 12 settembre, e il giorno dopo, il 13, con la staffetta 4×100 azzurra, in squadra con il veneto di San Stino di Livenza Lazzer, il novarese Grazioli e la punta barlettana Mennea in ultima frazione, vinse l’oro siglando il record europeo in 38”42. «Fu un record memorabile anche quello, eguagliammo il tempo fatto dai francesi 11 anni prima sempre sulla pista di Città del Messico, alle Olimpiadi».
Quella pista che “magica” non era
A proposito di quella pista, Caravani sottolinea un particolare che pochi conoscono. Ricorda che era molto dura, consunta, messa male: «Era ancora la pista realizzata 11 anni prima per le Olimpiadi del 1968, sempre quella, indurita dal tempo – spiega Luciano -, nella città tra le più inquinate del mondo, poco utilizzata perché lì non si facevano tante gare, e un po’ caduta nell’oblio. Una delle prime piste costruite in materiale sintetico, invecchiata maluccio. Questo per dire che i tempi di gara furono straordinari, ma sarebbero potuti essere anche migliori. Tra l’altro nelle pre universiadi, una settimana prima, Mennea nei 100 fece l’allora record europeo, 10”01». Come fu quell’Universiade con Mennea?
«Arrivammo 20 giorni prima a Città del Messico, per acclimatarci e abituarci al fuso orario, oltre al fatto di dover correre in altura. Lui pensava al record mondiale, era un suo obiettivo assoluto che seguiva da anni con una determinazione unica. Gli allenamenti
andavano benissimo, ricordo che in una ripetuta Pietro doveva fare i 300 metri e io lo tirai al meglio negli ultimi 200, facendo un 20”9».
In generale era facile essergli vicino ed amico?
«Per nulla, rispetto a noi “ragazzi”, che magari ogni tanto ci permettevamo un’ora al bar, un’uscita o magari qualche festicciola, Pietro era un uomo che si allenava in modo maniacale, che aveva in testa i suoi obiettivi e il periodo della sua vita sportiva era tutto dedicato a quelli, conscio delle sue qualità. Nei giorni di Città del Messico era concentratissimo, come noi peraltro, si parlava solo di allenamenti e gare. Voleva il record. E lo ottenne, col 19”72. Tra l’altro il 10 settembre in batteria fece già il record europeo correndo in 19”96».
L’unico che ha battuto Pietro
Lei fu l’unico a batterlo in Italia, e per anni fu il n. 2 della velocità. «Sì, è vero, lo battei nei 100 alla finale nazionale dei Cds del 1976 a Roma, correndo in 10”3, misurazione manuale. Poi mi infortunai e non potei correre ai campionati italiani, ma anche lì fu superato da Guerini. In effetti, diciamo, dal ’76 all’80 fui io il numero due d’Italia tra i velocisti».
Come era arrivato all’atletica?
«Io avevo esperienza e testa da calciatore, a vent’anni giocavo ancora col pallone. A 21 anni feci il militare e lì mi adocchiarono le FF.OO., e iniziò tutto, anche se un po’ in ritardo sono sbocciato, adattandomi a un mondo del tutto diverso da quello del calcio. Ero proprio un neofita, anche anni dopo. Ad esempio nel 1976 vennero a dirmi che avevo fatto il minimo per le Olimpiadi. E io: “Cosa vuol dire?”. Cioè non sapevo neanche cosa fosse un minimo. Ero ancora calciatore nella testa».
Le esperienze olimpiche?
«Un capitolo un po’ amaro. Feci quelle del 1976 a Montreal, poi però per Mosca 1980, a causa del boicottaggio americano e occidentale, mi lasciarono in Italia. Venne presa la solita decisione all’italiana: visto che c’era il boicottaggio, si scelse di non mandare i militari. Così restai a casa, insieme a una cinquantina di atleti di ogni disciplina. Mennea e la Simeoni invece poterono gareggiare a Mosca, dove conquistarono due ori storici».
Mennea, l’uomo tutto d’un pezzo
Torniamo a Mennea, che altri ricordi ha?
«Soprattutto sportivi. Come dicevo, era difficile avere un’amicizia stretta, anche se abbiamo dormito in camera insieme più volte. Pietro a Formia aveva alcuni amici, era un po’ chiuso, si concedeva pochissimo a momenti diversi da quelli dell’attività sportiva, aveva i suoi obiettivi e lavorava maniacalmente per raggiungerli. Una volta che li ha raggiunti, il record e l’oro olimpico, è iniziato un altro Mennea. Molti non lo sanno, ma si pose degli altri obiettivi, si mise a studiare e lavorare, conquistò tre lauree, più il diploma Isef, fu eurodeputato, e divenne un altro uomo, più aperto, più gioviale e compagnone. Teneva conferenze, venne in Veneto e mi contattò per vederci e trovarci, cosa impensabile negli anni dell’atletica. Spesso sui giornali e in tv parlano di lui, ma hanno conosciuto il Mennea del “dopo”, non del “prima”. Pare che tutti lo conoscano da sempre, in realtà si
rifanno sempre al Pietro post atletica. Ci sono stati due Mennea, per la dedizione che ha dato alla carriera sportiva e poi alla seconda vita, diciamo».
Con la federazione poi non ebbe rapporti idilliaci. Si leggeva spesso che la Fidal non si avvaleva della sua esperienza. Lui era tutto d’un pezzo.
«Perché non era accomodante, era uno senza peli sulla lingua, quando c’erano da fare critiche non le lesinava. Era portatore di idee nuove. Credo abbia anche pensato a un ruolo di dirigente in Fidal, magari puntava alla presidenza, ma l’ambiente si chiuse a riccio. In questo era figlio della sua vita sportiva: obiettivi precisi, ma senza trovare alleati sulla sua strada».
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